Oggi è la festa dell’Epifania, della manifestazione della divinità di Gesù ai re magi. Se il rendere visibile passa spesso e volentieri attraverso le opere d’arte, vogliamo lasciarci aiutare da una di esse a cogliere questo manifestarsi anche nella nostra vita.
Molte sono le cose che colpiscono in questa raffigurazione così insolita: partiamo dalla tecnica, si tratta di un arazzo! Un intreccio di fili colorati che formano disegni, significati.
Passando al soggetto, vediamo che non si tratta di una “adorazione dei magi” bensì di magi in cammino, forse in partenza alla ricerca del bambino o forse quando hanno già lasciato i loro doni e “per un’altra strada fecero ritorno al loro paese”. Non li vediamo attraversare deserti ma tappeti fioriti.
A volte il vuoto di questo tempo ci attanaglia e vorremmo riempire ogni spazio, ogni momento per non percepire le mancanze, i silenzi. In arte si chiama horror vacui, ossia il voler riempire ogni spazio vuoto con elementi decorativi. Ma anche i vuoti, i silenzi hanno un loro valore, da ascoltare e in cui sostare, perché sono in realtà luoghi di grazia, dove riscoprire la presenza di Gesù che può far rifiorire tutto dentro di noi e intorno a noi.
Non vediamo i loro doni, bensì i loro preziosi mantelli! Non oro, incenso e mirra ma stelle di David e Menorah (la lampada ad olio a sette braccia che veniva accesa nel tempio di Gerusalemme con l’olio sacro), simboli per eccellenza della religiosità ebraica, che sembrano dirci che le profezie sono compiute. Infine i pavoni, simbolo di risurrezione, annunciano il futuro.
I magi sono di spalle, non li vediamo in volto. Potremmo essere noi, dopo questo incontro con Gesù, a tornare sulle strade della nostra quotidianità rinnovati, rivestiti della consapevolezza che il Messia è tra noi, è venuto per salvarci e per far fiorire la nostra vita, fatta di intrecci, di relazioni che possono dare forma a un disegno stupendo.
Vittorio Zecchin, Re magi, 1920, arazzo, Venezia, Collezione privata
Vittorio Zecchin è stato un artista veneziano di inizio Novecento. Nelle sue opere, dalla pittura agli arazzi, al vetro, ogni elemento diventa pretesto decorativo che richiama i mosaici bizantini e gli sfondi delle raffigurazioni klimtiane.