Per celebrare la festa della mamma ci viene in aiuto il pennello di Pontormo che, nella Visitazione di Carmignano (1528-30), racconta l’incontro di queste due mamme “stra-ordinarie”: Maria ed Elisabetta, sua cugina. Nell’opera le due donne si incontrano e sono in procinto di abbracciarsi. I loro gesti, il loro volto, i colori stessi delle vesti esprimono gioia: entrambe stanno per diventare madri e portano in grembo dei figli destinati a stravolgere la storia dell’umanità. Essi sono un dono inaspettato di Dio: se Maria è rimasta incinta giovane pur non conoscendo uomo, Elisabetta è destinata a diventare madre in tarda età, dopo tanti anni di tentativi in cui ormai era stata detta sterile.
Quest’opera ci parla ancora molto anche oggi perché, oltre ai colori vividi che sembrano così contemporanei, dietro a questo incontro c’è una storia di vita, una storia che oggi accomuna molte donne (e molti uomini) ossia l’impossibilità di avere figli nonostante il desiderio di generare vita.
Ma Dio non preclude nessuna strada e, se per Elisabetta ha deciso che sarebbe diventata madre in tarda età, ha scritto un destino di “madre” anche per ognuno di noi anche se in maniera diversa e insolita rispetto all’idea di maternità in senso stretto come possiamo essere abituati a pensarla; questo non significa però che sia un destino meno valido e giusto. Si può essere madri senza doverlo essere biologicamente perché essere madre non significa solo partorire un figlio ma anche e soprattutto donare amore a questo figlio e fare di tutto per la sua felicità. Questo compito non è altro che l’insegnamento d’amore che Dio, tramite suo Figlio, ha consegnato all’umanità e, come Dio ci accoglie in quanto suoi figli, anche noi possiamo seguire il suo esempio di Padre e farci “madri” per chi ci sta attorno, offrendo il nostro amore e la nostra stessa vita agli altri.
Ognuno di noi anche se non fecondo biologicamente può esserlo spiritualmente perché quello che veramente conta è il dare la vita. Una persona può anche non avere figli, averne di propri o adottarli, non sposarsi o intraprendere un cammino di Consacrazione, ma vivere donandosi e dando vita agli altri.
È questo tipo di fecondità spirituale ad essere segno della grazia di Dio e a rendere queste maternità “straordinarie” valide e importanti (tanto quanto quelle a cui siamo abituati a pensare) perché colme di un amore che è eterno, gratuito e incondizionato.