«Gli anziani dicevano: “Ad ogni pensiero che ti assale chiedi: ‘Sei dei nostri o vieni dall’Avversario?’. Te lo dirà certamente!”»
(Collezione anonima/Nau 100)
I padri del deserto indicano un modo concreto per esercitare il discernimento, per individuare la qualità dei pensieri che si accostano e si introducono nel nostro cuore, per “esaminare” ciò che vi è in esso e “vedere se ciò che stiamo per fare è secondo Dio”. Si tratta dell’interrogazione del pensiero, cioè la capacità di vagliare la natura dei loghismoí a partire da una domanda molto semplice: “Sei dei nostri o vieni dall’Avversario?” (il testo biblico di riferimento è Gs 5,13). Il pensiero che si avvicina e cerca di entrare nel nostro cuore è benevolo (non solo nell’apparenza, ma sostanzialmente benevolo), oppure nasconde subdolamente intenzioni nemiche? Interrogare il pensiero è un’azione che di per sé rivela determinazione e vigilanza; non ci si abitua alla turba dei pensieri che affollano il nostro cuore e si sceglie di passarli continuamente al vaglio per scoprire la loro natura e la loro eventuale pericolosità. Interrogare il pensiero è come porre una custodia al nostro cuore, una porta che si apre solamente agli amici e resta chiusa per coloro che non sono graditi. L’immagine della porta è spesso usata nel linguaggio dei padri per esprimere l’azione del discernimento. Così dice un detto: «Sii il portinaio del tuo cuore, affinché lo straniero non entri dicendo: “Tu sei dei nostri o dei nostri nemici?”». Siamo noi stessi ad aver cura del nostro cuore. Noi stessi, attraverso l’attenzione e la vigilanza, siamo chiamati a essere “portinai del nostro cuore”, a vegliare sulla porta di accesso alla nostra interiorità.
Con sicurezza, l’apoftegma citato conclude: “Te lo dirà certamente!”. Sembra, dunque, che il pensiero, interrogato con decisione, non abbia scampo: risponderà sicuramente. Ma è sempre così? Sorge allora una domanda: c’è sempre in noi la capacità e la fermezza di custodire questa porta? E come possiamo essere sicuri della risposta che il pensiero ci dà? E’ vera o falsa? Come possiamo capirlo? O più semplicemente: come avviene questa interrogazione? Per custodire veramente il nostro cuore abbiamo bisogno di una parola sicura, una parola che non può essere ingannata, una parola capace di fare chiarezza e smascherare l’origine e la direzione dei pensieri, una parola alla quale i pensieri non possono resistere e sono obbligati a rispondere correttamente. Questa parola capace di interrogare è la parola di Dio. “Poni alla porta del tuo cuore un cherubino con la spada infuocata”: è l’immagine usata da un detto per esprimere la forza della parola di Dio che, come spada, separa e fa chiarezza, purifica e illumina. Solo la parola di Dio ha la forza di vigilare sul nostro cuore perché in essa agisce la potenza dello Spirito.
E con questa spada infuocata alla porta del nostro cuore possiamo veramente affrontare con fermezza l’interrogatorio dei pensieri. Solo così possiamo possedere quella decisione che Antonio il Grande raccomandava ai suoi monaci di fronte ai pensieri e alle immagini che si avvicinano al cuore: “Qualunque immagine appaia, colui che la vede non cada in trepidazione, ma piuttosto interroghi con sicurezza dicendo dapprima: “Chi sei tu e da dove vieni?” …Se si tratta di una potenza diabolica subito si indebolirà vedendo un animo sicuro e vigoroso. La domanda “chi sei tu e da dove vieni?” è, infatti, segno di un animo non turbato. Così Giosuè di Nun imparò interrogando; e il nemico non rimase nascosto a Daniele che interrogava”.
Adalberto Piovano, Camminare umilmente con Dio, Edizioni San Paolo, Roma 2013